E’ famosa in tutto il mondo perché ospitava la fabbrica della Gilera. E’ conosciuta nel settore produttivo perché sul suo territorio sorgevano le acciaierie Falck. Ed è politicamente importante perché è la cittadina dove viveva Silvio Berlusconi, a villa San Martino. Nel suo cimitero è sepolto anche Rubens Fadini, uno degli eroi del Grande Torino, morto a Superga, di cui abbiamo detto delle vicende umane in un’altra puntata. Ma ad Arcore è successa un’altra cosa molto importante. Non sappiamo se dovrebbe contribuire alla sua celebrità, ma siamo più che sicuri che merita di essere raccontata. Ad Arcore, infatti, Benito Mussolini ha subito il primo attentato.
Il futuro dittatore che trascinò l’Italia in una guerra disastrosa, rischiò di morire alla fine dell’inverno del 1921 a causa di uno “strano” incidente aereo. A quel tempo Arcore contava poco più di 4 mila abitanti, contro i quasi 20 mila di oggi. L’anno prima Mussolini si era iscritto nella scuola fondata in città da Cesare Redaelli, a sua volta arcorese, asso dell’aviazione e autore del libro “Iniziando Mussolini alle vie del cielo”. Il suo obiettivo era di ottenere il patentino di pilota e stava appunto svolazzando quando l’aereo sul quale si stava esercitando si schiantò violentemente.
Il fatto risale al 1921, quindi ben prima degli attentati “ufficiali” di Tito Zaniboni e Violet Gibson, rispettivamente datati 1925 e 1926. Molto prima. E il Corriere della Sera riporta così la notizia: “Un incidente aviatorio è occorso ieri a Benito Mussolini, direttore del Popolo d’Italia. Mentre nel pomeriggio, all’aerodromo di Arcore, egli stava allenandosi, sotto la guida del pilota Giuseppe Redaelli (si tratta di un errore, il vero nome è Cesare ndr), per conseguire il brevetto da pilota, ad un tratto l’apparecchio fu visto sbandarsi e precipitare da circa 40 metri. I due aviatori furono raccolti poco dopo dal personale sotto i rottami dell’apparecchio semi – distrutto. La caduta però non aveva gravi conseguenze. Il Mussolini presentava leggere abrasioni alla faccia contusioni alle braccia e alle gambe e il Redaelli presentava una ferita lacero – contusa alla fronte e contusioni agli arti inferiori. Alla guardia medica di porta Venezia furono giudicati guaribili in una ventina di giorni”.
L’articolo è del 3 marzo del 1921, quindi è logico pensare che l’incidente sia accaduto il 2. La domanda alla quale dobbiamo rispondere è: perché l’aereo è venuto giù? E’ stato un normale incidente di volo, uno dei tanti che accadevano in quegli anni ancora pionieristici, o c’è dell’altro. Noi di Storie Dimenticate propendiamo per la seconda soluzione poiché di mezzo ci sarebbe una pigna. Sì, sì, avete capito bene: di mezzo ci sarebbe una pigna. O una pannocchia. Dipende dalla versione cui si dà credito. Tuttavia in questi casi è sempre meglio usare il condizionale. Quando si parla di attentati ė sempre opportuno stare sul chi va la perché la materia è molto delicata: la storiografia ufficiale, per esempio, attribuisce il primo a Tito Zaniboni, che nell’autunno del 1925 cercò di fare fuori Mussolini con un colpo di fucile.
Quindi di certo, in questo racconto, ci sono l’incidente e il campovolo, che nei primi anni Venti si trovava all’angolo fra via Cesare Battisti e la ferrovia, dove in questi mesi è stata realizzata una nuova speculazione edilizia ribattezzata le Torri nel Parco. Ecco, dietro quelle torri, che ospitano nuovi appartamenti, ci sono due hangar dentro i quali ci ricoveravano gli aerei. L’aerodromo era lì, accanto alle ex acciaierie Falck, ora Tenaris Dalmine spa, e vicino all’ex ditta Bestetti, inizialmente una grande falegnameria riconvertitasi in parte in azienda del settore aeronautico durante la Prima guerra mondiale.
In quella spianata verde, di diversi ettari, c’era il campovolo, distrutto dai partigiani nel 1945, e Cesare Redaelli, ufficiale dell’aeronautica in congedo, pensò di sfruttare la situazione. Sfruttarla a proprio vantaggio, dando vita a una vera e propria scuola civile di pilotaggio dove era possibile effettuare voli turistici a pagamento per tutti coloro che anelavano al battesimo dell’aria. E Mussolini era tra questi. Tuttavia, pare che il capo del fascismo non conseguì mai il brevetto. In diversi testi si legge che pilotò questo o quell’aereo. Si legge anche che volava abitualmente e che trasportò persino Hitler. D’altro canto l’aviazione era l’arma del futuro, cantata anche da Filippo Tommaso Marinetti, e il fascismo la portava in palmo di mano. Mussolini approfittò dunque del campovolo di Arcore per fare pratica. Era giunto al suo diciottesimo volo, quello durante il quale si verificò l’incidente. Un incidente che gli costò molto caro e che, a quanto pare, lo spinse ad appendere la tuta da aviatore al chiodo.
Era un mercoledì di fine inverno, un giorno come tanti altri, e verso le 15 il futuro capo del fascismo decollò. Abitava con la moglie Rachele a Milano, in via Castel Morrone, a quel tempo periferia. Aveva bisogno di evadere un po’. Voleva dimenticarsi dei pensieri provocati dai primi tre figli e non vedeva l’ora di relegare in fondo al cervello i problemi causati dal giornale che dirigeva: niente di meglio che l’aria fresca, niente di meglio che l’altezza, niente di meglio, dunque, che la velocità che solo un aereo può regalare. In bicicletta andò così al campovolo di Arcore.
Il decollo, avvenuto intorno alle 15, non provocò problemi. L’aereo si librò in aria regolarmente. Durante il volo di prova non successe nulla. Fu durante quello vero e proprio che si verificò quell’insolito infortunio.
Mussolini era concentrato sui comandi, l’istruttore seguiva con attenzione ogni suo movimento, ma dopo pochi minuti l’apparecchio cominciò a perdere potenza. Prima poco, poi sempre di più, finché non crollò in un campo di barbabietole. La perdita di potenza fu provocata da una pigna, o secondo alcuni da una pannocchia, posizionata nel tubo di scappamento del motore. Nulla di complicato, ma sufficiente per rendere il veicolo una vera propria trappola, dalla quale Mussolini uscì con qualche botta e diversi tagli. Redaelli descrive così quanto è accaduto: “Una delle tubature di passaggio dell’acqua dal radiatore al motore, era otturata con un fiore di pino (…). Solo una mano criminale poteva avere introdotto il corpo nella tubazione”. L’incidente, come abbiamo letto, provocò al futuro Duce solo qualche lesione. I soccorritori lo estrassero dai rottami praticamente illeso. Un poco peggio andò invece al suo istruttore, ma tutto sommato anche lui se la cavò bene. Tuttavia, una domanda rimane in sospeso: chi mise quella pigna? Di chi era la mano criminale? Non c’è risposta. Non si sa, è un mistero. Certo è che una banale pigna avrebbe potuto cambiare il corso della storia.
La storia dietro l’angolo o, per usare un’espressione che va per la maggiore adesso, a chilometro zero. Oggi come oggi di quel campovolo non rimane nulla e della scuola fondata da Cesare Redaelli restano solo i due capannoni usati come deposito. Su di loro pende un piano di recupero presentato in Comune alcuni anni fa. L’intenzione è di recuperali mantenendo la loro memoria, ma prima che venga tutto trasformato sarebbe cosa buona farci un salto a buttare un occhio. In fin dei conti la storia che conta è passata anche da Arcore, da quel prato verde e da quei capannoni vicini alla ferrovia solo all’apparenza privi di significato. La città merita di essere ricordata anche per questo strano incidente e non solo per la Gilera e Berlusconi.