Immaginate per un istante di essere a capo di un’azienda e immaginate che la vostra segretaria vi porti sul tavolo la lettera di licenziamento da consegnare a uno degli operai che da qualche tempo batte un po’ troppo la fiacca: anziché lavorare, il ragazzo gioca e perde tempo. Immaginate a questo punto di convocarlo per sapere direttamente da lui cosa c’è che non va e immaginate che lui, stando in piedi davanti alla vostra scrivania, vi risponda: “Non è che non lavoro, mi annoio, ho per la testa un progetto nuovo”. Cosa fareste voi a questo punto? Che tipo di provvedimento prendereste nei confronti di questo giovane operaio che sul posto di lavoro si annoia?
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Adriano Olivetti, figlio di Camillo, il fondatore dell’omonima azienda a Ivrea, gli rispose: “Senti, facciamo così, io ti do una sedia, un banco, un assistente e tre mesi di tempo”. Ecco, in due mesi e mezzo Natalino Cappellaro, l’operaio della Olivetti che si annoiava, progettò la Divisumma, vale a dire la calcolatrice che ha letteralmente fatto la fortuna dell’azienda di Ivrea e che oggi è esposta in pianta stabile al Moma di New York come esempio del design italiano. Se non avete presente qual è, basta cliccare in internet e vi renderete immediatamente conto di cosa stiamo parlando. Fra i tanti modi che esistono per definire il capitalismo dal volto umano, vale a dire un capitalismo attento al profitto, ma anche al benessere dei suoi operai e alla qualità della vita della città, questo è uno dei più efficaci e senza dubbio l’Olivetti è stata una delle aziende italiane che meglio ha saputo interpretare questo sogno. E se, come fanno i migliori detective dalla letteratura gialla, dovessimo avventurarci in un’indagine indietro nel tempo per capire dove questo sogno è iniziato, scopriremmo che sì, Ivrea ne fu sicuramente la culla, ma fu però a Monza, nel quartiere San Carlo, all’angolo fra le vie Marsala e Umberto I, che mosse i primi passi. Fu lì, infatti, che Camillo Olivetti diede vita alla Cgs (centimetro, grammo, secondo), la sua prima azienda che produceva trasformatori, ed è lì che Coop Lombardia ha avviato un piano di rigenerazione urbana dell’area abbandonata oramai da oltre 20 anni.
I vecchi edifici in perfetto stile razionalista della Cgs spariranno, ma non tutto sarà demolito. Una parte, quella di maggior rilievo archeologico – industriale, inserita nel “Nuovo catasto dei terreni del Regno d’Italia” fra il 1897 e il 1902 e utilizzata da Camillo Olivetti proprio per avviare le prime produzioni di trasformatori, sarà riqualificata per diventare uno degli elementi centrali del piano di recupero.
Camillo Olivetti, nato a Ivrea nel 1868 in una famiglia della borghesia ebraica, si laureò in ingegneria industriale nel 1891. Il suo primo amore da studente fu l’elettrotecnica, seguì i corsi della scuola di Applicazione tecnica di Galileo Ferraris ottenendo ottimi risultati e diventando anche assistente del professore.

Una cosa che capì velocemente fu anche che per fare affari bisognava conoscere le lingue e allora andò a perfezionare l’inglese a Londra e poi, col suo mentore, soggiornò per alcuni mesi anche negli Stati Uniti dove incontrò Thomas Alva Edison. Ferraris e Olivetti fecero amicizia con l’inventore americano, si scambiarono idee e visitarono anche i suoi laboratori al Llewellyn Park, nel New Jersey. Tornato in Italia, decise che era arrivato il tempo di passare all’azione e si mise in società con un paio di amici. All’inizio provò a vendere biciclette della ditta americana Victor, poi passò alle macchine da scrivere dopo avere assunto la rappresentanza della ditta Williams, ma il momento non era ancora quello giusto. Prima di arrivare alla produzione che lo rese famoso nel mondo, Olivetti pensò di sperimentare il settore della produzione energetica, un settore che, visti i tempi, siamo nei primissimi anni del Novecento, aveva davanti a se un grande avvenire.
Ivrea però non era il luogo ideale per fare impresa. La città era troppo isolata, essenzialmente contadina e agricola, senza istituti di credito e così, nel 1903, decise di spostarsi a Milano e l’anno dopo a Monza, dove fondò la sua prima azienda, la Cgs appunto, specializzata nella produzione di apparecchiature elettriche e trasformatori. E qui successe una cosa che se stessimo scrivendo un romanzo sarebbe sicuramente uno di quei passaggi chiave che senza impiegare troppe parole in descrizioni, lascerebbero intendere molto della personalità del protagonista: nel trasferimento da Ivrea a Monza Olivetti portò con se un manipolo di 40 operai coi quali lavorava già da un paio d’anni e che, in quelli a venire, diventeranno lo stato maggiore della Olivetti. Arrivato a Monza, si installò subito in via Marsala e negli stessi giorni, letteralmente dall’altro lato della strada, iniziava la produzione anche un’altra azienda storica di Monza, la Società anonima meccanica lombarda (oggi al suo posto c’è il comando della Polizia locale) e insieme le due aziende diedero vita al nucleo originario di quello che nel corso del Novecento diventerà il primo polo industriale cittadino.
La Saml, fra l’altro, era un’azienda decisamente curiosa che vale una digressione, giusto il tempo necessario per restituire nel modo più completo possibile l’epoca di cui stiamo parlando. La ditta, specializzata nella produzione di mulini, nel 1913 decise di cambiare settore e iniziare la produzione di aerei, in particolare veicoli tedeschi da ricognizione Aviatik. Dunque, una domanda dovrebbe sorgere spontanea: ma come mai una normale azienda monzese decide all’improvviso di produrre aerei tedeschi? La risposta è in un colpo da maestro dei Servizi segreti italiani, che riuscirono a trafugare i piani del biplano Aviatik B1, grazie alla complicità di un ingegnere svizzero dipendente della Saml di Monza. E nel 1915 l’Aviazione militare del Regio Esercito, affidò proprio alla Saml monzese un primo contratto per costruire l’aereo trafugato.

Chiusa la digressione, riprendiamo l’avventura di Camillo Olivetti e dei suoi 40 operai che avevamo lasciato alle prese con la fondazione della Cgs. L’azienda avrà una lunga vita e nel suo momento di massima espansione arriverà a contare 1800 dipendenti. Olivetti, però, nel giro di un paio d’anni decise di lasciare e cedette l’attività a Edison. Tornò a Ivrea coi suoi 40 operai dove diede vita alla Olivetti e scrisse un pezzo di storia dell’imprenditoria italiana. Quella brianzola, come si dice, fu dunque un’esperienza breve, ma l’idea di impresa di Camillo Olivetti, il suo sogno di un capitalismo dal volto umano iniziò a prendere forma proprio a Monza, all’angolo fra le vie Marsala e Umberto I, dove Coop ha da poche settimane avviato i cantieri per riqualificare l’area.

L’edificio, dopo essere stato uno dei simboli del boom economico monzese, ma anche della crisi economica degli anni Settanta, è stato abbandonato a se stesso negli anni Novanta. Una delle tante aree dismesse della città scivolate un poco alla volta nell’oblio di cui si era completamente persa storia e memoria.
Il progetto di Coop Lombardia, che proprio in Brianza e per la precisione a Muggiò aprì nel 1926 il suo primo negozio con forno, cambierà completamente volto all’isolato: al posto di quegli uffici abbandonati, di quei vecchi magazzini e di quei cortili dove una volta fumavano gli operai vestiti col “toni” sorgerà una nuova piazza di collegamento fra le via Marsala e Solferino, una pista ciclabile, spazi verdi, un nuovo supermercato e ovviamente parcheggi. Ma quei vecchi fabbricati a ridosso del canale Villoresi classificati come archeologia industriale, che nonostante il trascorre del tempo hanno mantenuto l’impianto originario e dove Camillo Olivetti e i suoi 40 operai lavorarono per tradurre in pratica il sogno di un capitalismo dal volto umano, non saranno toccati. Anzi, saranno restaurati per diventare un esplicito richiamo alla funzione produttiva che un tempo si svolgeva in quell’ambito, che verrà ricordata anche con l’utilizzo nel progetto del supermercato di una copertura “a shed”, la classica copertura delle aziende lombarde studiata per migliorare illuminazione e aerazione del luogo di lavoro.
Ho letto con molto interesse questa storia scritta in modo apassionato quasi meglio di un romanzo.bravissimo chi l’ha scritta.
Grazie!
Chi l’ha scritta è davvero molto bravo (e non è la persona che sta commentando). 🙂